Radiohead - Firenze: La sorpresa del non essere i soli ad essere sorpresi

Ok, effettivamente quando è uscita la notizia del concerto dei Radiohead a Firenze ho preso il biglietto senza fermarmi a pensare che effettivamente non è mai stato il mio gruppo preferito:
intendiamoci, è una di quelle band di tutto rispetto, che ha saputo cambiare con gran capacità nel corso del tempo, e che, pur facendo scelte che potevano sembrare suicide –come ad esempio mettere un album in rete e lasciare decidere a chi scarica il prezzo- è riuscito a rimanere sempre sulla cresta dell’onda, determinando le tendenze del rock mondiale, però non mi ha mai scaldato più di tanto il cuore: era uno di quei tanti gruppi che mi ripromettevo di ascoltare con più calma, per essere sicuro che oltre alle solite canzoni note avessero fatto altri piccoli capolavori.
Detto in tutta sincerità, nemmeno il monito costante del concerto –con tutti gli annessi ed i connessi economici, logistici ed organizzativi che si è portato dietro- mi ha fatto togliere dal mio lettore Pablo Honey ed Ok Computer per mettere qualche altro album più recente. Con la leggerezza tipica di chi non capisce che magari se non sai proprio bene le canzoni di un gruppo non spendi tanti soldi e tantomeno perdi un weekend in piena sessione esami per un concerto, prendo il mio bel trenino e penso già alla scaletta ideale: in una rapida sequenza creep, karma police, high and dry, no surprises, paranoid android, thinking about you, jigsaw falling into pieces –e che non si dica che non mi piacciono gli album nuovi- e poi.. beh, ad essere sincero non molto altro, magari qualche bis, con loro imbarazzati che dicono “ok, facciamo di nuovo qualche pezzo vecchio che a voi piacciono!”.
La realtà è decisamente diversa: in mezzo ad una moltitudine vista raramente per un gruppo solo mi sento un cretino d’altri tempi, mi immagino tutti a cantare su note a me sconosciute e a guardarmi che muovo le labbra a caso e neanche troppo a tempo, vedo già un pubblico arrabbiato con me perché non sono preparato per il sacro rito del concerto dei concerti, sono sicuro che mi leggeranno anche nella mente e mi diranno “ei, tu, smettila di pensare che Thom Yorke è triste come pochi altri, vattene, non sei degno!”, ed io che me ne vado, coda tra le gambe e tanta umiliazione.
Ma non va nemmeno così: iniziano a suonare e sul palco si accende un muro di luci e degli schermi che formano varie figure e proiettano particolari dei volti, dei piedi, delle mani dei musicisti. Un vero spettacolo nello spettacolo, chi ha avuto in particolare l’idea di mettere una videocamera sul microfono del cantante, che gli inquadra gli occhi ed il naso e lo proietta come se fosse un alveare è un genio assoluto.
Decido che non è il caso di fingere di cantare, sarebbe troppo rischioso, fingo di muovermi a tempo, almeno per i primi pezzi che, penso, saranno dell’ultimo album, ma poi fanno anche qualcosa di vecchio –sssssèèèèèè, come no!-. Nel mio muovermi dinoccolato noto che anche altri non cantano. Mi aspettavo un coro unico, una liturgia, dei fan che sapessero anche cosa avrebbero detto tra una canzone e l’altra, tipo un concerto di Renato Zero –ok, il paragone forse non regge per genere ed età, ma ho visto pochi concerti con un pubblico così devoto… sì, sono stato ad un concerto di Renato Zero ed è stato molto bello-. Tutto quello che vedo, invece, è una marea di gente che se ne sta lì, godendosi sicuramente la musica, ma che sembra aspettare qualcosa di conosciuto. Forse non sono così fuori luogo, forse, il concerto dei Radiohead è un evento al di là della tua conoscenza dei pezzi, è come se tutti fossimo lì più che altro per esserci e per poter dire “sono stato a sentire i Radiohead”.
Detto questo si potrebbe anche parlare del concerto in sé, sempre tenendo presente che chi vi scrive ha potuto canticchiare una sola canzone, per il resto è stato una gran sessione di musica nuova da ascoltare e dire “però, questi potrebbero fare strada”. Indubbiamente c’è da dire che, contrariamente alle mie aspettative, è stato un set decisamente ballabile, complice la nuova tendenza della band a fare sempre più elettronica, senza dimenticarsi di saper suonare magistralmente gli strumenti old style. Ancora più inaspettata è stata la verve del cantante, vero matador della serata, mentre mi aspettavo un interprete capacissimo ma poco espressivo e poco attivo. Errore mio, mi sono goduto questo sbaglio con gran piacere.
Il ritorno in mezzo al parco delle cascine è tutto dedicato alle impressioni: essendo stato quasi tutto composto da canzoni sconosciute –a parte karma police e la prima strofa di the one i love dei rem-, forse ho saputo guardare con un po’ più di distacco tutto quanto. Ed il risultato è sicuramente stato un concerto favoloso, preparato e studiato con classe, sia per quanto riguarda la scelta delle canzoni –non vogliono essere un gruppo da cavalli di battaglia, hanno cambiato e ricambiato, vogliono piacere per quello che fanno ora-, che per l’allestimento di palco e schermi, un tour congegnato a regola d’arte e che in buona parte spiega il prezzo del biglietto. Detto questo, magari la prossima volta un paio di pezzi in più li ascolto prima, forse è meglio!



Bloom
There There
15 Step
Weird Fishes/Arpeggi
Kid A
Staircase
Magpie
The Gloaming
Separator
You And Whose Army
Nude
Identikit
Lotus Flower
Karma Police
Feral
Idioteque
Airbag
How To Disappear Completely
Daily Mail
Bodysnatchers
Planet Telex
Give Up The Ghost
Reckoner
Everything In Its Right Place

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