Litfiba – Trilogia del potere tour: Dagli anni ’80 si esce vivi, ed ogni tanto ci si torna con piacere

--> Allora, ci sono un americano, un inglese e tre italiani su una macchina che… [no, così sembra una barzelletta.
E poi l’americano e l’inglese in realtà sono italiani, semplicemente vivono fuori. Un inizio da buttare. Però c’è da dire che farsi così tanti km per vedere un concerto ha un che di poetico, andrebbe detto. Vabè, me ne frego, io la inizio così.]
Allora, come dicevo, ci sono un americano, un inglese e tre italiani su una macchina, dalla periferia nord di Torino, fino ad un corso omologo di Milano. La ragione è molto semplice: all’Alcatraz suonano i Litfiba. Ma non i Litfiba della reunion, quelli di Sole Nero, dell’album Grande Nazione, insomma, non quelli di Piero e Ghigo, o almeno non solo: di reunion in reunion si è arrivati alla versione più originale possibile, considerando la morte di Ringo de Palma, batterista storico. Al basso c’è di nuovo Gianni Maroccolo (se non sapete chi è prendetevi un giorno di ferie per capire tutto quello che ha fatto ed un mese per ascoltarlo), alle tastiere Antonio Aiazzi, chitarra e voce di Ghigo e Piero Pelù. La scaletta del concerto è ghiotta per chi ha vissuto gli anni 80 o per chi, nato dopo, è cresciuto con la musica dei Litfiba seguendo i fratelli –una delle ragioni principali per cui sono ancora grato a mio fratello e mia sorella, ndr-: solo gli album della cosiddetta “trilogia del potere”, Desaparecido, 17 Re e Litfiba 3.
Il risultato, da pelle d’oca, è un suono non centrato esclusivamente su chitarra e voce che avevano caratterizzato la band a partire dagli anni ’90 (ricordate quanti “meeeewh”, ricordate quanti “euh”?, Litfiba tornate insieme), ma con un bilanciamento migliore, che da ampio spazio a tastiere e basso veramente portanti –anche se, nella fattispecie, le tastiere non si sentivano granchè-.
Il biglietto da visita, in un Alcatraz esauritissimo, è dei migliori: Eroi nel vento, giusto per far capire che le attese non verranno deluse. La scaletta corre via veloce, senza attimi di grande respiro e con il pubblico ben diviso, tra i giovani davanti ed i fan originali e quelli più gracilini, magari con gli occhiali, che hanno paura di cadere e prendersi dei colpi troppo forti –chi potrebbe mai essere?- un pochino più indietro.
Ad ogni brano espressioni di sorpresa, persone in lacrime e facce contente, sopra e sotto il palco. In particolare Gianni Maroccolo ha suonato per tutto il tempo con smorfie che mi ricordavano le facce dei tifosi quando la loro squadra segna. Estasi. D’altronde anche io sarei molto contento se potessi suonare, da autore, quei pezzi. Verso la fine Piero Pelù saluta Manuel Agnelli, presente in sala, dicendo che effettivamente si esce vivi dagli anni ’80… vero per lui, e direi che ci è uscito bene… me lo avesse detto Ghigo avrei avuto qualche perplessità in più.
In due ore tutto finisce, luci accese, si ritorna nel 2013 a bordo di una Hyundai. Il futuro è cosa incerta, non credo sinceramente che i Litfiba continuino con questa formazione e me ne dolgo, ma non posso che essere loro grato per quanto fatto e per una serata in cui non posso dire si essere tornato indietro –non ero praticamente nato quando hanno fatto quegli album, non iniziamo a dire che “ah, la musica a quei tempi”-, ma ho semplicemente goduto di quelle note.

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